Argomentare sulla meditazione Vipassana è quasi pleonastico. Un conto è leggere o approfondire determinate istruzioni, qualsivoglia commento, ben altro mettere subito in pratica tutto ciò che lì per lì si è riusciti ad afferrare. La vipassana è un esercizio concreto che darà sicuramente i suoi frutti, purché si abbia coraggio sufficiente per inoltrarsi nell’universo mistico della propria interiorità col cipiglio del ricercatore metafisico. L’avventura in oggetto non richiede professioni di fede, non è questione di essere buddhisti o meno. Mi rendo conto di come siffatta introduzione sia vaga, ma è una necessità strategica. L’ambito in cui ci stiamo per inoltrare è tra i più luminosi. Il principio guida è quello della concentrazione e, quindi, della consapevolezza. Le istruzioni che offre Mahasi Sayadaw sulla meditazione Vipassana sono tanto esaustive quanto dettagliate. …
«La pratica della meditazione Vipassana consiste nello sforzo fatto dal meditatore per capire correttamente la natura dei fenomeni psicologici e fisici che avvengono nel proprio corpo. I fenomeni fisici, le cose o gli oggetti che uno percepisce chiaramente nell’intero corpo, costituiscono il gruppo di qualità materiali chiamate Rupa. I fenomeni della mente o mentali si chiamano Nama. Si percepisce chiaramente che questi fenomeni di nama rupa o corpo-mente stanno accadendo ogni volta che c’è vista, odore, suono, gusto, contatto o pensiero. Ne diventiamo consapevoli osservandoli e annotandoli. Quando vediamo, annotiamo ‘vedere’, quando udiamo qualcosa annotiamo ‘udire, udire’, quando odoriamo ‘odorare, odorare’, quando gustiamo ‘gustare, gustare’, quando tocchiamo ‘toccare, toccare’, e quando pensiamo ‘pensare, pensare’. Ogni volta che uno vede, ode, odora, gusta, tocca o pensa deve prendere nota dell’avvenimento, del fatto.
Ma all’inizio della pratica uno non riesce a prendere nota di tutti gli avvenimenti che capitano. Deve però prendere nota per lo meno di quei fenomeni che sono facilmente e chiaramente percepibili. Ad ogni respiro l’addome si alza e si abbassa e il movimento è evidente. Questa è la qualità materiale conosciuta come vaiu dathu o elemento del movimento. Uno deve cominciare col notare questo movimento, cosa che avviene quando la mente è concentrata ad osservare l’addome. Troverete che l’addome sale quando inspirate e scende quando espirate. Il salire deve essere notato mentalmente come salire e lo scendere come scendere. Se il movimento non è chiaro, pur continuando a notarlo, tenete il palmo della mano sull’addome. Non alterate il modo di respirare, non rendetelo più lento o più veloce, né rendetelo troppo vigoroso: alterare il respiro vi darà stanchezza. Respirate normalmente come al solito e notate il salire e scendere dell’addome così come avviene. Notatelo mentalmente e non verbalmente. Nella meditazione Vipassana non è importante che nome date, ma è importante il fatto di notare e percepire. Notate il salire dell’addome dal principio alla fine del movimento, come se lo seguiste con gli occhi. Fate lo stesso con il movimento di discesa. Notate in modo tale che la consapevolezza sia all’unisono con il movimento stesso. La stessa cosa con il movimento discendente. La mente può distrarsi mentre state notando il movimento addominale. Anche questo va notato, dicendo mentalmente ‘divagare, divagare’. Quando è stato notato una volta o due la mente smette di distrarsi e allora ritornate al salire e scendere dell’addome. Se immaginate di incontrare qualcuno, notate ‘incontrare incontrare’ e poi tornate al salire e scendere dell’addome, se immaginate di incontrare e parlare con qualcuno notate ‘parlare parlare’. Insomma ogni pensiero che sorge va notato. Se state immaginando, notate ‘immaginare’, se pensate annotate ‘pensare’, se progettate ‘progettare’, se percepite ‘percepire’, se riflettete ‘riflettere’, se siete contenti notate ‘contentezza’, se vi sentite annoiati notate ‘noia’, se siete sereni ‘serenità’, se vi sentite scoraggiati ‘scoraggiamento’; notare tutti questi oggetti di consapevolezza è chiamato in pali citta nupassana. Se non riusciamo a notare questi atti di coscienza, saremo portati a identificarli con una persona o un individuo. Pensiamo che ci sia un ‘io’ che immagina, pensa, pianifica, conosce o percepisce. Crediamo che ci sia una persona che, dall’infanzia in poi, sia vissuta e abbia pensato. Nella realtà una persona così non esiste. C’è invece una successione continua di atti della coscienza. Ecco perché dobbiamo conoscere questi atti di coscienza e conoscerli per quello che sono, conoscere ogni singolo atto di coscienza, man mano che sorge. Quando li si osserva, tendono a scomparire e se questo capita, allora torniamo a notare il salire e scendere dell’addome.
Dopo un po’ che meditate, sensazioni di rigidità e bruciore tendono a sorgere nel corpo. Anch’esse vanno annotate attentamente. Lo stesso con le sensazioni di stanchezza o dolore. Tutte queste sensazioni sono dukkha vedana o sensazioni di insoddisfazione e il notarle è vedana nupassana. Se mancate di notarle potreste arrivare a pensare: ‘Io sono rigido’, ‘io sento caldo’ oppure ‘io ho un dolore’… E’ sbagliato identificare queste sensazioni con l’ego. Non c’è un io coinvolto, ma solo una successione di sensazioni spiacevoli, una dopo l’altra. E’ solo una successione continua di impulsi elettrici, come in una lampadina.
Ogni volta che vi è un contatto spiacevole nel corpo, sorgono sensazioni spiacevoli, una dopo l’altra. Queste sensazioni vanno notate attentamente, sia che si senta rigidità, bruciore o dolore. All’inizio della pratica di meditazione queste sensazioni possono aumentare e portare al desiderio di cambiare posizione. Va notato anche questo desiderio e poi lo yogi deve ritornare a notare le sensazioni di rigidità, caldo, eccetera.
“La pazienza porta al Nibbana” è un detto che va tenuto presente. Bisogna essere pazienti nella meditazione. Se uno si muove o cambia postura troppo spesso perché non sa essere paziente con le sensazioni spiacevoli che sorgono, non può sviluppare la concentrazione o samadhi. Se samadhi non si sviluppa non può sorgere la visione profonda (insight) e non ci può essere la realizzazione del sentiero che conduce al Nibbana e del phala o frutto di questo sentiero, e quindi il Nibbana. Per questo c’è bisogno di pazienza nella meditazione. C’è bisogno di pazienza soprattutto con le sensazioni spiacevoli del corpo, come rigidità, calore, dolore, ecc. In altre parole, le sensazioni difficili da sopportare richiedono di stare con loro pazientemente e attentamente, e questo significa essere consapevoli, man mano che sorgono. Uno non deve abbandonare la sala di meditazione non appena sorgono queste sensazioni, ma anzi deve andare avanti, notando ‘rigidità’, ‘calore’, ecc. Le sensazioni deboli come queste spariranno se si continua ad annotarle pazientemente. Quando la concentrazione è forte, perfino le sensazioni più intense tendono a scomparire. Poi uno ritorna a notare il salire e scendere dell’addome. Naturalmente se dopo un lungo periodo di tempo e avendo continuato ad annotarla, la sensazione non sparisce o diventa insopportabile, allora si può cambiare posizione. Si comincerà a notare ‘desiderio di cambiare’ e se si alza il braccio notare ‘alzare’ e quando lo si muove notare ‘muovere, muovere’. Tutti i movimenti per cambiare posizione vanno fatti lentamente e annotati ‘alzarsi, muoversi, toccare, eccetera’. Se il corpo oscilla, notare ‘oscillare’, se il piede si alza notate ‘alzare’, se si muove notate ‘muovere, muovere’, se si abbassa ‘abbassare, abbassare’. Se invece non c’è cambiamento, ritornate a osservare il salire e scendere dell’addome.
Non ci deve essere nessuna soluzione di continuità, nessun intervallo tra un atto di notare e il successivo, tra uno stato di concentrazione e il seguente, tra un atto di coscienza e l’altro. Solo così si creeranno graduali e sempre più elevati gradi di comprensione nel meditatore. La conoscenza del sentiero e della sua fruizione sarà raggiunta solo quando c’è questo tipo di spinta in alto. Il processo meditativo è come sfregare insieme energicamente e senza sosta due bastoncini di legno per ottenere la giusta intensità di calore che faccia nascere la fiamma. Allo stesso modo l’annotazione nella meditazione Vipassana deve essere continua e senza soste, senza nessuna pausa tra i vari atti del notare ogni singolo fenomeno che sorge. Per esempio, se si prova una sensazione di prurito e lo yogi vuole grattarsi perché non riesce a sopportarla, va annotata sia la sensazione che il desiderio di liberarsene, senza però grattarsi immediatamente. Se uno continua e persevera a notare in questo modo il prurito generalmente sparisce, nel quale caso uno ritorna al salire e scendere dell’addome. Se il prurito non va via, invece, si deve naturalmente eliminarlo grattandosi, ma prima bisogna notare accuratamente il desiderio di farlo. Tutti i movimenti coinvolti nell’eliminazione della sensazione vanno annotati, come il toccare, spingere e grattare e infine ritornare al salire e scendere dell’addome. Ogni volta che cambiate posizione, cominciate con il notare l’intenzione o il desiderio di fare il cambiamento e andate avanti notando attentamente ogni movimento, come alzarsi dal sedile, alzare il braccio, il movimento e la tensione del braccio. Dovete notare i cambiamenti nello stesso momento in cui li fate. Se il corpo oscilla in avanti notatelo. Quando vi alzate il corpo diventa leggero e si alza. Concentratevi la mente e annotate gentilmente ‘alzarsi alzarsi’.
I meditatori si devono comportare come se fossero degli invalidi. Generalmente le persone si alzano facilmente, velocemente e improvvisamente, ma questo gli invalidi non lo possono fare e si alzano lentamente e con molta attenzione. Anche quelli che hanno mal di schiena si alzano con molta attenzione per evitare delle fitte dolorose. La stessa cosa con il meditatore. Deve iniziare a fare il cambiamento di postura con consapevolezza, gradualmente e lentamente, e nel contempo annotare “alzarsi, alzarsi”; solo allora, la consapevolezza e la concentrazione faranno sviluppare e gradualmente maturare l’insight. E non solo questo: sebbene gli occhi funzionino il meditatore deve comportarsi come se non vedesse, e la stessa cosa con le orecchie che odono Quando medita lo yogi deve solo occuparsi di essere consapevole e annotare. Non lo riguarda ciò che ode o vede; deve comportarsi come se non vedesse e non sentisse. Ci deve essere solo una annotazione continua e accurata.
Quando durante la giornata, lo yogi si muove, lo fa gradualmente come se fosse debole; deve muovere le braccia e le gambe lentamente e sempre lentamente abbasserà o alzerà la testa. Tutti questi movimenti devono essere fatti gentilmente. Quando è seduto e si alza, lo deve fare gradualmente notando ‘alzarsi’, quando sta in piedi notando ‘in piedi’, quando si guarda qua e là notare ‘guardare’, ‘vedere’, quando cammina nota i passi, se sta camminando con la gamba destra o con la sinistra. Inoltre lo yogi deve essere consapevole di tutti i successivi movimenti dal momento che alza il piede fino a quando lo abbassa. Questo quando si cammina velocemente.
Quando si cammina lentamente o si fa la meditazione camminata bisogna notare tre movimenti in ogni passo: quando si alza il piede, quando lo si avanza, quando lo si posa. Cominciate col notare solo i movimenti di alzata e di abbassata. Uno deve essere consapevole quando alza il piedi e lo stesso quando lo abbassa. Deve notare ‘alzare’ e ‘abbassare’ ad ogni passo. Questo nominare diventerà facile dopo qualche giorno, e allora cominciate a nominare i tre movimenti di ‘alzare’, ‘avanzare’, e ‘abbassare’. Ricapitolando, all’inizio o quando si cammina veloce basta sapere che piede si muove e notare “sinistro, destro”. Quando si cammina un po’ più lentamente si notano i due movimenti di ‘alzare’ e ‘abbassare’. Quando si cammina lentamente si notano tre movimenti come spiegato sopra.. Mentre si sta camminando e viene voglia di sedersi notare ‘voglia di sedersi’. Quando vi sedete veramente osservate con concentrazione il cadere del corpo sulla sedia. Quando siete seduti notate i movimenti che fate per sistemare le gambe e le braccia. Quando non ci sono movimenti e il corpo è fermo notate solo il salire e scendere dell’addome.
Se mentre state notando la rigidità del corpo o degli arti sorge una sensazione di calore, annotatela accuratamente. E poi ritornare al salire e scendere dell’addome. Se poi viene voglia di sdraiarsi notatelo e notate anche il movimento delle gambe e delle braccia mentre vi sdraiate. Il movimento del braccio, l’appoggiarsi del gomito che tocca il pavimento, l’oscillare del corpo, lo stendersi delle gambe, il graduale ripiegamento del corpo mentre si prepara a sdraiarsi. Tutti questi movimenti vanno notati. È importante annotare tutto questo processo, perché nel farlo potete avere una chiara conoscenza del sentiero e del suo frutto. Infatti, quando la concentrazione e l’insight sono forti e maturi, la conoscenza può venire ad ogni istante, può arrivare in un singolo piegamento o stiramento del braccio. Questo accadde ai tempi del Buddha, subito dopo la sua morte, quando il venerabile Ananda, il suo attendente divenne un completo aharant. Il ven. Ananda tentò disperatamente di raggiungere lo stato di aharant nella notte precedente il primo grande concilio. Aveva praticato tutta la notte vipassana. Notava i passi destro sinistro, l’alzarsi, avanzare e scendere del piede, notando tutto ciò che man mano accadeva, come il desiderio fisico di camminare e il movimento coinvolto in ogni passo. Sebbene tutto questo andasse avanti fino quasi all’alba non aveva ottenuto la realizzazione. Capì che aveva fatto la meditazione camminata per troppo tempo, e che avrebbe dovuto equilibrare la concentrazione con lo sforzo. Decise perciò di continuare a fare meditazione nella posizione sdraiata. Entrò nella sua stanza, sedette sul giaciglio e poi cominciò a sdraiarsi. Mentre faceva ciò annotando accuratamente ‘sdraiarsi’, raggiunse il primo stadio verso lo stato di arahant in un istante. Il Venerabile Ananda prima di quel momento, era stato solo un sotapanna, uno che era entrato nella corrente, cioè il primo stadio del sentiero verso il Nirvana. Dallo stato di sotapanna raggiunse il secondo stadio (cioè di colui che ritorna una volta sola), poi il terzo, quello del non ritorno, e raggiunse l’ultimo stadio nel cammino della illuminazione, divenendo un arahant. Passare attraverso questi tre eccelsi stadi del sentiero gli prese pochissimo tempo. Pensate a questo esempio del Ven. Ananda. Questo raggiungimento può arrivare da un momento all’altro. Ecco perché gli yogi devono notare tutto diligentemente e in continuazione. Non bisogna rilassarsi nel notare pensando: ‘questo non è poi così importante’. Tutti i movimenti che si fanno per sdraiarsi sono importanti e devono essere notati il meglio e il più accuratamente possibile. Se non ci sono movimenti e il corpo è fermo ritornate al salire e scendere dell’addome. Anche quando si fa tardi e arriva il tempo di andare a dormire lo yogi non va a dormire lasciando perdere la concentrazione. Un meditatore serio e impegnato cercherà di praticare la concentrazione anche mentre sta per addormentarsi. Andrà avanti a meditare fino al momento che il sonno verrà da solo. Se la meditazione è buona e profonda, non si addormenterà; ma può capitare invece che il sopore abbia la meglio e lo yogi si addormenti. Se sente sonno deve notare ‘sonno, sonno’ o se le palpebre si chiudono, notare ‘chiudersi, chiudersi.’. Se diventano pesanti notare ‘pesanti’, se gli occhi bruciano notare ‘bruciare’. Notando in questa maniera può accadere che il sopore sparisca e gli occhi diventino chiari di nuovo. Allora notare ‘chiari’, e andare avanti, notando il salire e scendere dell’addome. Così si può continuare a meditare e se sorge un pesante torpore finalmente il meditatore si addormenterà per davvero. Se meditate nella posizione sdraiata, diventerete sempre più sonnolenti e infine vi addormenterete. Ecco perché i principianti non devono meditare nella posizione sdraiata. Ma quando poi si fa tardi e viene il tempo di dormire, meditate nella posizione sdraiata seguendo il salire e scendere dell’addome. E poi naturalmente ed automaticamente vi addormenterete. Il tempo del sonno è il tempo di riposo del meditatore, ma uno yogi molto impegnato dovrebbe cercare di limitarlo a quattro ore. Quattro ore di solito sono sufficienti. Se il meditatore principiante pensa che quattro ore non siano sufficienti alla salute può dormire anche cinque o sei ore. Sei ore sono chiaramente abbastanza per la maggioranza della gente. Quando lo yogi si sveglia deve subito ricominciare a notare. Lo yogi che vuole raggiungere l’illuminazione sospende la meditazione solo quando dorme. Nel resto del tempo, deve notare continuamente e senza sosta, nominando il più accuratamente possibile, fin dal risveglio “sveglio, sveglio” e altri stati; se non ci riesce subito, osserva il salire e scendere dell’addome. Se intende uscire dal letto nota l’intenzione di uscire dal letto e poi tutti i movimenti delle gambe e delle braccia nel far ciò. Quando alza la testa nota ‘alzare’, quando siede ‘sedere’. È importante che ogni volta che cambia posizione, muove le braccia o le gambe prenda nota di tutti questi movimenti.
Se non ci sono movimenti e si sta seduti tranquillamente, allora si nota il salire e scendere dell’addome. Uno deve notare anche quando si lava la faccia, fa la doccia e siccome i movimenti in questo caso sono piuttosto rapidi si cerca di notarli il meglio possibile. Poi c’è il vestirsi, il sistemare il letto, aprire e chiudere la porta: tutto deve essere notato il più accuratamente possibile. Quando il meditatore pranza e si avvicina al tavolo nota ‘guardare’, quando allunga la mano, prende il cucchiaio, si serve del cibo, quando lo mette nel piatto, quando porta il cucchiaio alla bocca, quando la testa si china, mette in bocca, abbassa il braccio, lo alza per un altro boccone: tutti questi movimenti vanno notati il più accuratamente e continuamente possibile. Quando il meditatore mastica noterà ‘masticare’ quando sente il sapore del cibo dirà ‘gustare’, va notato anche il movimento di masticare, rendere liquido e ingoiare il cibo e bisogna continuare a essere consapavoli di tutto ciò che sta capitando. Durante i pasti c’è talmente tanto da notare che il principiante spesso salta molte cose che andrebbero notate, ma comunque dovrebbe metterci la migliore buona volontà. Man mano che samadhi diventerà più intenso e continuo il meditatore riuscirà a seguire sempre più ciò che sta capitando.
Abbiamo parlato di molte cose che vanno notate, ma per riassumere basta menzionare poche cose che vanno assolutamente notate: quando si cammina velocemente notare passo sinistro e passo destro e quando si cammina piano l’alzarsi ed abbassarsi del piede e quando si cammina molto lentamente “alzarsi”, “avanzare” e “abbassarsi” del piede; quando si è sdraiati o seduti fermi notare l’alzarsi e l’abbassarsi dell’addome, se non c’è niente altro di particolare da notare Se la mente divaga, notate i vari atti di coscienza che sorgono e di nuovo poi tornare al salire e scendere dell’addome. Notate anche le sensazioni di rigidità, dolore e prurito man mano che vengono poi tornare all’alzarsi e abbassarsi dell’addome. Notate man mano che avvengono il sollevamento, lo stiramento e il movimento degli arti, il chinarsi e il movimento della testa, l’oscillare e il chinarsi del corpo, e poi ritornate all’alzarsi e abbassarsi dell’addome. Man mano che procedete, vedrete che ci sono sempre più cose da conoscere nei fenomeni che avvengono. All’inizio siccome la mente vaga qua e là, il meditatore non riesce a notare molte cose che accadono, ma non deve scoraggiarsi. Tutti i principianti incontrano le stesse difficoltà. Con la pratica il meditatore riuscirà ad accorgersi della mente che divaga fino a quando questa non divagherà più. La mente rimane fissa sull’oggetto e la consapevolezza è quasi simultanea con l’oggetto dell’attenzione come l’alzarsi ed abbassarsi dell’addome. In altre parole l’atto di alzarsi e abbassarsi dell’addome è simultaneo all’atto di notarlo. Gli oggetti fisici dell’attenzione e i contenuti mentali sono notati appaiati, insieme, e si capirà che non vi è nessuno coinvolto in questa azione: c’è solo l’oggetto fisico dell’attenzione e l’attività mentale del notare che avvengono simultaneamente. Il meditatore sperimenterà personalmente questi fenomeni. Mentre segue l’alzarsi dell’addome imparerà che vi è il fenomeno fisico dell’alzarsi e l’atto mentale del notare. Lo stesso con l’abbassarsi dell’addome. Lo yogi imparerà a vedere la simultaneità di ciò che capita, vedendoli come fenomeni fisici e mentali appaiati. Quindi in ogni atto del notare lo yogi imparerà che c’è solo una qualità materiale come oggetto di attenzione e una qualità mentale che ne prende nota. Questa conoscenza è la prima dei vipassana nana ed è importante raggiungere tale conoscenza correttamente. Poi il meditatore raggiungerà la seconda vipassana nana, distinguendo tra causa ed effetto.
Man mano che meditano gli yogi vedranno da loro che tutto ciò che sorge, dopo un po’ sparisce. La gente comune pensa che i fenomeni sia fisici che mentali durino tutta la vita nella stessa maniera dalla gioventù alla vecchiaia. Ma non è così. Non esiste fenomeno che duri per sempre, anzi ogni fenomeno avviene e sparisce continuamente, non dura più di un batter d’occhio. Lo sperimenterà lo yogi andando avanti nel notare. Si accorgerà dell’impermanenza di tutti i fenomeni. A questa comprensione seguirà la consapevolezza di dukkha (dukkha nupassana nana), cioè la comprensione che tutto quello che non dura crea sofferenza. Il meditatore sperimenterà anche molti dolori nel corpo che non è altro che un aggregato di sofferenze. Anche questa è dukkha nupassana nana. Poi lo yogi si convincerà che tutti questi fenomeni psicofisici capitano senza la sua volontà e senza il suo controllo. Non fanno parte di una entità personale o egoica. Questa realizzazione è anatta nupassana nana. Quando, proseguendo nella meditazione, gli yogi arriveranno a capire chiaramente che tutti questi fenomeni sono anicca (impermanenti) dukkha (insoddisfacenti) e anatta (vuoti di un’entità egoica), otterranno il Nibbana. Tutti i buddha e gli aharant hanno raggiunto il nibbana seguento proprio questo sentiero. Tutti i meditatori dovrebbero sapere che sono sul sentiero del satipattana, verso il Nibbana. Dovrebbero essere contenti per questo e per la prospettiva di poter sperimentare questo nobile tipo di samadhi o tranquillità della mente dovuta alla concentrazione e ottenere la conoscenza ultramondana, sperimentata nel passato dai buddha, dagli aryia e che loro stessi ora potrebbero sperimentare. Questo può avvenire nello spazio di un mese o 20 o 15 giorni di pratica. Quelli che hanno paramita eccezionali possono arrivarci anche in soli 7 giorni. Lo yogi deve dunque essere contento nella certezza che raggiungerà questi traguardi presto. Deve proseguire nella pratica, fiducioso nella riuscita.
Che tutti possano praticare la meditazione e possano raggiungere l’illuminazione che buddha e aharant hanno sperimentato.»
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– Fonte