Alla scoperta del sé. In un viaggio introspettivo, ci interroghiamo spesso su chi siamo e come ci definiamo. Tali domande ci conducono inevitabilmente a esplorare il nostro passato, un retaggio che, sebbene appartenga a ieri, continua a influenzare il nostro essere. Le etichette che ci attribuiamo, come tessere di un mosaico identitario, possono rivelarsi catene che ostacolano la nostra crescita. Wayne W. Dyer, con saggezza illuminante, ci invita a liberarci da queste costrizioni autoimposte, a riconoscere il potenziale insito in noi e a intraprendere un cammino di trasformazione. Abbandoniamo il “secchio di cenere” del passato per abbracciare un presente ricco di possibilità, dove l’unico limite è la nostra volontà di evolvere.
«Chi sei? In quali termini ti definisci? Per rispondere a queste due domande è assai probabile che tu debba fare riferimento alla tua vita passata, a un passato già vissuto ma al quale indubbiamente sei legato e ti è difficile sfuggire. Quali termini ti descrivono? Sono forse delle piccole etichette che sei andato accumulando tutta la vita? Hai forse un cassetto pieno di queste autodefinizioni delle quali fai un uso regolare?
Si tratta di cartellini con sopra scritto Sono nervoso, Sono timido, Sono pigro, Non ho orecchio per la musica, Sono goffo, Dimentico tutti, e di tutta una serie di altri, analoghi a questi. Forse ve ne sono anche alcuni positivi, come: Sono affettuoso, Sono bravo a bridge, Sono dolce. Questi non li prenderò in considerazione, dato che scopo di questo capitolo è di aiutarti a crescere, più che di batterti le mani per le tue qualità.
Certi termini di connotazione non sono di per sé impropri; improprio e dannoso può essere l’uso che se ne fa. Mettere un’etichetta può essere un deterrente per la crescita. È facile servirsi di quel marchio come di una giustificazione per rimanere identici.
«Mettetemi una etichetta, e mi avrete annullato» scrisse Sören Kierkegaard.
Se l’individuo si sente tenuto a non smentirla, l’Io cessa di esistere. Ciò è vero anche delle etichette che ci si applica da soli. Potresti annullarti, negarti, identificandoti coi tuoi ‘marchi di fabbrica” invece che col tuo potenziale di crescita. Tutte le autoconnotazioni nascono dalla vita passata. Ma il passato, come scrisse Carl Sandburg in Prairie — non è che «un secchio di cenere».
Esàminati in base alla misura in cui sei incatenato al tuo passato.
Tutte le autoconnotazioni autodistruttive risultano dall’uso di queste quattro frasi nevrotiche:
1. “Questo sono io”.
2. “Sono sempre stato così”.
3. “Non posso farci nulla”.
4. “È nella mia natura”.
Ecco il pacchettino dei “morsetti serrafili” che t’impediscono di crescere, cambiare e incominciare una vita (da questo momento in avanti — che, poi, è tutta la vita che hai) nuova, emozionante e colma di soddisfazioni nel presente.»
(Da: Le vostre zone erronee – Wayne W. Dyer)
– Wayne W. Dyer (amazon)
– Wayne W. Dyer (macrolibrarsi)
– Wayne Walter Dyer – Wikipedia