I seguenti appunti descrivono la tecnica di attenzione sulla respirazione “Anapana-sati”. Un metodo di meditazione relativamente semplice, ma prezioso e fondamentale. La loro lettura chiarirà alcuni tra i dubbi più frequenti e favorirà sicuramente la discussione. Tuttavia solo la pratica, regolare e ricorrente, ossia periodica, riuscirà a risolvere le questioni davvero concrete. Siffatto processo introspettivo che conduce da una graduale concentrazione a una calma viepiù progressiva basandosi, innanzitutto, sulla consapevolezza, aiuta ad acclimatarsi, a poco a poco, con la più recondita e altrimenti inaccessibile realtà interiore. Naturalmente, l’oggetto primario di codesta esplorazione subliminale siamo sempre noi. Tutto ciò che acciufferemo non sarà una realtà distopica, ma realizzeremo, via via, in guisa tanto semplice quanto umile, il culmine esistenziale di “ciò che è” … La vita nelle sue poliedriche manifestazioni? No, semmai di “ciò che è” l’essenza. Dalla tranquillizzazione del respiro, all’assorbimento vero e proprio, il passo sarà comunque breve e dipenderà soprattutto dalla via che s’intende seguire.
Attenzione sulla respirazione
Istruzioni per la pratica
Vi possono essere, tuttavia, coloro che, per varie ragioni, preferiscono scegliere il respiro come oggetto primario dell’attenzione, sia per un raggiungimento primario dell’ Assorbimento, sia per sviluppare direttamente la Penetrazione. Per loro profitto, vengono qui aggiunte alcune brevi istruzioni sull’Attenzione sulla Respirazione (Anapanasati), basate nella sezione rispettiva del Satipatthanasutta. Un altro metodo di questa pratica, che inizia col contare i respiri, viene descritto nel Cammino della Purificazione. (Visuddhi Magga).
Abbiamo già detto che, per l’Attenzione sulla Respirazione, la Posizione del Loto con le gambe completamente incrociate è preferibile, benché non sia necessaria in modo assoluto. Abbiamo, anche, dato l’avvertimento di non interferire sulla respirazione in alcun modo: nella pratica Buddhista non si deve sostenere o fermare la respirazione, né approfondirla volontariamente, né tentare di forzarla ad un ritmo definito. La sola cosa da fare è quella di seguire il flusso della respirazione attentamente e continuamente, senza una interruzione o senza una pausa che non sia stata registrata. I punti dove si deve fissare l’attenzione sono le narici contro le quali batte il flusso dell’aria respirata. Non si debbono abbandonare questi punti di osservazione, perché di qui si può facilmente osservare l’entrata e l’uscita del respiro. Non si deve, per esempio, seguire il respiro nel suo penetrare nel corpo e tornare indietro, poiché questo diminuisce l’attenzione deviandola verso le varie posizioni dove l’aria sta passando. Vi possono essere delle fluttuazioni in quanto la pressione del respiro può sentirsi in modo diverso: può cambiare da narice a narice. Vi può essere anche una differenza tra individuo e individuo secondo la lunghezza del naso e la larghezza delle narici. Dopo la registrazione di dette fluttuazioni e differenze, non si deve più badarvi, ma prestar attenzione soltanto alla respirazione stessa dovunque apparisca in successione distinta.
Benché l’attenzione sia mantenuta al suo punto di osservazione, pure vi si è, a causa della leggera pressione dell’aria che passa, una coscienza più o meno distinta del passaggio del respiro attraverso il corpo; però l’attenzione diretta non deve essere rivolta a questo. Proprio come l’occhio, benché stia fissando un oggetto definito, comprende anche nel suo campo di visione gli oggetti vicini, cosi anche l’attenzione si estende ad un certo campo che va al di là del centro che si è scelto. Nell’antica letteratura Buddhista vi è una similitudine assai appropriata per illustrare questo aspetto. Se un uomo sega un pezzo di legno, la sua attenzione sarà concentrata nel « punto di contatto » dei denti della sega con il legno, ma egli sarà anche cosciente dell’andare e venire della sega oltre questo punto, senza, tuttavia, prestarvi particolare attenzione.
Un principiante, spesso, fa l’errore di essere troppo rigido o troppo cosciente di se stesso, quando, per le prime volte, pone attenzione alla respirazione. Se egli fa questo come con uno spasimo interiore o come piombando sopra una preda, presto si troverà fuorviato dal delicato processo della respirazione. Dopo aver eseguita la contemplazione iniziale dell’inspirazione, il meditante deve tranquillamente volgere la sua attenzione al naturale fluire del respiro seguendolo e partecipando al suo ritmo regolare. Non si richiede nessun atto di volontà «Ora afferrerò il respiro»; questo sarebbe soltanto di ostacolo.
In una importante sezione del Discorso si dice dapprima; «Inspirando un respiro lungo (o corto) egli conosce: Io respiro un respiro lungo (o corto) ». Questo non significa che si deve allungare (o approfondire) o accorciare il respiro, ma che si deve soltanto notare se questo è più lungo o più corto quando si sta osservando. Il meditante diverrà presto cosciente di queste differenze del processo di respirazione e anche di molti altri dettagli quando si sia abituato a dirigere un’attenzione vigilante sul respiro. Avviene la stessa cosa anche per altre percezioni, per esempio per la visione degli oggetti; una osservazione più attenta e più accurata rivelerà molti particolari che non si erano notati al primo sguardo.
Attraverso una pratica diligente e regolare, il meditante deve, dapprima, divenir capace di prestare una attenzione fissa, per un periodo di tempo via via più lungo, al fluire della respirazione senza interruzioni o (al principio) senza interruzioni incoscienti. Quando egli potrà mantenere la concentrazione per venti minuti con relativa facilità, egli potrà scoprire ancora molti più dettagli nel processo osservato. Diverrà, ora, molto più marcato il fatto che il momento fugace di ogni singolo respiro ha un suo tempo determinato e ben distinti movimenti all’inizio, alla sua metà e alla sua fine. Questa osservazione sarà l’annuncio di un ulteriore sviluppo della pratica.
Il meditante potrà allora notare che la sua attenzione non è ugualmente chiara e acuta durante le tre fasi della durata del respiro. Una natura lenta, per esempio, dopo aver prestato attenzione alla fase finale di un respiro, può non afferrare la prima fase del respiro seguente, non essendo abbastanza rapido da riunirsi a questo immediatamente. Oppure, nell’ansia di non perdere il principio del respiro seguente, può aver saltato la fase finale del respiro precedente. Questo può servire come esempio dell’avvertenza che si trova assai spesso nei testi Buddhisti: «non restare indietro, né superare il segno ».
Notare queste sottili differenze nella rapidità e nella chiarezza dell’attenzione può essere considerato un notevole passo avanti nello sviluppo della stessa attenzione e della concentrazione. Attraverso queste osservazioni il meditante guadagnerà anche nel conoscere più utilmente se stesso, il che lo aiuterà ad adattare le sue disposizioni mentali come occorrono per uno sforzo ben bilanciato che gli eviti sia la rilassatezza sia la rigidità.
Mentre noterà queste fluttuazioni nella sua applicazione dell’attenzione, sorgerà nel meditante il desiderio di sforzarsi a rimediare alle deficienze. Egli si sforzerà di mantenere la sua attenzione ad un medesimo livello durante le tre fasi in cui dura il respiro. Se riuscirà a questo, il meditante avrà portato la pratica a quanto indicato nel terzo esercizio del Discorso: «Conscio di tutto il corpo (del respiro), inspirerò ed espirerò ».
Il duplice sforzo – di osservare senza interruzione la serie dei respiri e di prestare la stessa attenzione a tutte le fasi della respirazione – potrà aver lasciato tracce di tensione o vibrazione nel processo di respirazione e nella mente che osserva. Queste verranno notate quando la vigilanza si acutizzi. Inoltre, implicita a questa osservazione, vi sarà il desiderio e lo sforzo di arrivare ad una più grande calma sia nella respirazione che nel processo mentale che la segue. Questo è il quarto e ultimo stadio della pratica come indicato nel Discorso: «calmando la funzione del corpo (del respiro), inspirerò ed espirerò ».
Si può, tuttavia, esigere una continuazione della pratica fino a quando questi stadi vengano maneggiati con sicurezza dal meditante e possano ottenersi con relativa facilità. Se questo viene raggiunto si possono attendere ulteriori risultati.
È a questo punto della Tranquillizzazione del Respiro da dove partono contemporaneamente le due principali strade della meditazione Buddhista (Samatha e Vipassana).
Se il meditante aspira ad ottenere l’Assorbimento (jhana) per mezzo dell’approfondirsi della Calma (samatha), egli deve continuare il processo di Tranquillizzazione e ridurre il respiro ancora più fine e sottile e il suo fluire più blando. Benché egli debba essere sicuro che la sua attenzione copre tutte e tre le fasi del respiro, egli non deve prestare una particolare attenzione a queste fasi. L’osservazione discriminativa o esaminatrice sarebbe di ostacolo, in questo caso. Quando si tenda all’Assorbimento si deve, per così dire, seguire flottando sull’onda del flusso respiratorio. Continuando diligentemente con questa pratica la concentrazione della mente crescerà e, a tempo opportuno, potrà apparire una immagine mentale semplice (nimitta), per es. una stella, che annuncia l’Assorbimento completo. Ma immagini complicate e variate, o visioni, non sono segni di progresso; esse debbono essere semplicemente registrate e scacciate via.
Nella pratica di Assorbimento, a giorno pieno o a mezza giornata, l’attenzione deve essere presente dappertutto, ma soltanto in maniera molto generale, senza attenzione ai dettagli. Per esempio, il camminare deve essere fatto consciamente, ma senza distinzione di fasi come usato nella pratica di Penetrazione. Attraverso un troppo accurato esame dei dettagli, la mente diverrebbe troppo impegnata e interessata in una molteplicità di oggetti, mentre, in questo caso, lo scopo da raggiungere è la unificazione e la tranquillità della mente.
Ma se, dopo essere pervenuto allo stadio di Tranquillità, il meditante desidera intraprendere la strada diretta della Penetrazione o Intuizione, egli dovrà prestare una attenzione ben marcata ad ogni singola fase della respirazione e, in particolare, all’inizio e alla fine. Si dovrà anche prestare accurata attenzione a tutti quegli oggetti principali e secondari di cui abbiamo già parlato. La differenza tra il metodo di sviluppo dell’ Assorbimento o Jhanico da quello della Penetrazione o Vipassanico consiste, pertanto, soltanto in un leggero spostamento nella direzione dell’attenzione.
Quando, nella pratica della Penetrazione, il meditante ha raggiunto un po’ di abilità nello stadio di Tranquillità, comprenderà che due processi si intrecciano in questa pratica: il processo fisico (rupa) della respirazione o del movimento addominale e il processo mentale (nama) della conoscenza di questi movimenti. Benché questo sia quasi evidente in teoria, prima di aver raggiunto una certa abilità nella concentrazione, si sarà stati troppo interessati all’oggetto dell’attenzione per essere consci della propria attività. Se la coscienza di questi due processi è diventata più intensa per mezzo della ripetizione, i due” processi si presenteranno da se stessi regolarmente come una duplice progressione di fenomeni fisici e mentali: respirare, conoscere, respirare, conoscere, ecc.
Continuando lo sforzo, si arriverà ad un certo punto in cui la fase finale del respiro, o del movimento addominale, apparirà assai evidente mentre le altre fasi ritorneranno nello sfondo. La linea divisoria tra la fine del respiro o del movimento e il principio del seguente diverrà ben marcata e il fenomeno della cessazione si imprimerà profondamente nella mente del meditante. A questo punto si possono aspettare ulteriori progressi.
Questi due stadi – la duplice progressione e la predominanza della fase finale – sono sviluppi naturali della meditazione. Essi non possono essere «voluti» mentre il processo osservato è in atto, poiché questo vorrebbe dire una interruzione dell’attenzione. Queste osservazioni saranno il risultato meritato di una pratica diligente.
Nelle istruzioni orali, il maestro di meditazione non parlerà col discepolo degli stadi non ancora ottenuti, ma in queste note scritte questo si è dovuto fare per fornire qualche segno o criterio della strada del progresso al meditante che si trova senza un insegnante personale.
Benché la guida di un insegnante sperimentato sia preferibile, un meditante serio può fare ottimi progressi nel suo sforzo solitario, se è vigilante e critico per ciò che riguarda la sua pratica meditativa.
(Da: Nianaponika Thera, L’essenza della meditazione Buddhista, Edizioni “Buddhismo Scientifico” 1973)
Nyanaponika Thera (1901-1994) è stato uno dei massimi esponenti del Buddhismo theravada. Nato ad Hanau, in Germania, in una famiglia ebraica, conobbe il Buddhismo attraverso gli scritti di Nyanatiloka Thera, che lo spinsero a recarsi in Oriente e a prendere gli ordini monastici nel 1939. Fu presidente della Buddhist Publication Society di Kandy, Sri Lanka, dal 1958, anno della sua fondazione, al 1988, occupandosi attivamente della traduzione e della pubblicazione in inglese degli antichi testi del Canone pali.
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